Capitolo 5: A Dún Att

Nell'aria tiepida si respirava l'odore dell'erba estiva. Stormi di uccelli piroettavano cinguettando rumorosi.
Mentre Áedán cavalcava sul ripido sentiero che serpeggiava tra le rocce del colle di Dún Att, gli venne in mente che era già passato quasi un anno da quando aveva portato suo figlio Artúr all'abazia di Hy. Si chiese che cosa stesse imparando in quel momento, sotto la guida vigile dei monaci.
Ma venne distolto dai suoi pensieri quando, vicino alla cima del colle, si trovò davanti il possente muro di cinta del forte di Dún Att.

Áedán scese dalla sella e, tirando il cavallo per le redini, si avvicinò a piedi al portale d'entrata della fortezza. Le guardie, riconosciutolo, lo lasciarono entrare.
Oltrepassate le mura, ritrovò subito Erc, la sua fidata guardia personale, che lo stava aspettando nello spiazzo all'interno. Lasciò il suo cavallo alle cure di uno stalliere, e si avviò con Erc su per il ripido pendìo che conduceva alla sommità, dov'era situato il centro del potere del regno di Dál Riata.
Dopo la fine dell'inverno, il commercio era ripreso con rinnovato vigore e Dún Att pullulava di vita. In qualche capanna si udivano anche i vagiti di neonati, frutto della primavera e delle notti d'inverno.

Oltrepassata la seconda cinta di mura, Áedán ed Erc attraversarono i cortili dove si affacciavano i laboratori dei fabbri e degli orafi. Era lì, tra il clangore ritmico dei martelli e il bagliore delle forge, che veniva prodotta la ricchezza del regno. Era risaputo che i mastri artigiani di Dún Att erano in grado di modellare oro, argento e bronzo in gioielli di grande valore, che incrementavano la prosperità della Dál Riata grazie al loro commercio anche verso terre lontane.
Mentre si avvicinava alla terza cinta di mura, Áedán tornò a pensare con preoccupazione al motivo di quella convocazione. Secondo quanto gli aveva detto il suo fratello maggiore, Eoganán, quello era un incontro riservato solo ai capiclan, il che lasciava intuire che si trattasse di una riunione riservata, forse destinata a trattare argomenti molto delicati. Era proprio questo che preoccupava Áedán: suo fratello Eoganán era il capo del loro clan, il Cenél nGabráin. Quindi, come mai era stato convocato anche Áedán?

Eoganán, accompagnato dalla sua guardia personale, lo stava aspettando presso la cinta muraria. Sorridendo calorosamente, gli disse in tono bonario: «Alla buonora, Áedán, gli altri toísig stanno già per adunarsi. Andiamo».
«Sai perché hanno chiamato anche me?», chiese Áedán a suo fratello quando ebbero varcato le mura. 
«No, nessuno mi ha detto nulla», rispose Eoganán, «ma consideralo un buon segno: significa che re Conall ti ritiene all'altezza dello status per partecipare... O forse ti hanno convocato per una svista, ah ah!». Ma nonostante quelle parole rassicuranti, Áedán credette di percepire una certa perplessità anche da parte di suo fratello.

Diverse guardie stazionavano nello spiazzo antistante al grande salone e si misero sull'attenti al passaggio di Eoganán, riconoscendolo come uno dei capiclan.
Giunti presso l'entrata, incontrarono Colmán Bec mac Diarmato, uno degli alleati più fidati di re Conall.
«Benvenuto, amico mio!», disse Colmán stringendo forte il braccio di Eoganán. Poi il suo sguardo cadde su Áedán, e con un sorriso enigmatico aggiunse: «Anzi, benvenuti! Vostro padre sarebbe stato orgoglioso nel vedervi partecipare entrambi a questo incontro!».
Quelle parole suonarono amare agli orecchi di Áedán: ricordò che suo padre Gabrán aveva sempre contemplato la prospettiva che i suoi figli gli succedessero sul trono di Dál Riata come la cosa più naturale del mondo. Invece, alla morte di re Gabrán, le cose erano andate diversamente. Suo nipote Conall mac Domgaill, forte del sostegno di diversi clan, era stato scelto come nuovo re: il potere in Dál Riata veniva ogni volta messo al vaglio delle decisioni di tutti i clan del regno.
Ma era inutile rimuginare sul passato, e senza indugio i due fratelli seguirono Colmán Bec all'interno della grande sala delle assemblee.

Il calore e il frastuono li accolsero non appena ebbero varcato la soglia. Servitori si affrettavano portando corni colmi di idromele. La sala era piena di gente che parlava a voce alta e che rideva, i capiclan si stavano salutando l'un l'altro prima dell'inizio dell'assemblea.
Alcuni di loro, vedendo arrivare Eoganán, salutarono con un sorriso, ma quando i loro sguardi si posarono su Áedán i loro volti tradirono sorpresa e una certa confusione, come se si chiedessero che cosa ci facesse lui là.
Per nascondere il disagio, Áedán afferrò un corno di idromele da uno dei servitori e bevve un sorso. La fresca bevanda, oltre che a placare la sua sete, contribuì a calmare i suoi nervi.

A un certo punto, il chiasso si quietò: re Conall era salito su uno sgabello e si apprestava a parlare. Da in fondo alla sala, Áedán scorse distintamente la chioma grigia e i folti baffi ramati di suo cugino Conall.
Il capo supremo di Dál Riata si schiarì la voce e con tono autorevole si rivolse ai capiclan riuniti: «Toísig del regno, benvenuti a questa assemblea. Le celebrazioni di Betelene sono state molto partecipate e proprio per questo, io credo, gli aes síde sono stati benevoli: il commercio e la caccia sono cominciati alla grande con l'arrivo della bella stagione, e siamo molto fiduciosi che anche la stagione del raccolto sarà propizia!».
Molti dei presenti accolsero queste parole con gesti e grida di compiacimento. Re Conall insisteva molto sulle tradizioni antiche, ben sapendo che quasi tutti i clan di Dál Riata erano ancora fermamente ancorati alle credenze druidiche.

Poi, Conall fece un cenno con le mani per riportare il silenzio, e proseguì con un tono di voce più basso: «In questo periodo favorevole, il fato ci presenta un'imperdibile opportunità. Vi presento questo emissario».
Un uomo accanto a Conall si fece avanti. Il suo volto aveva un che di inquietante: una cicatrice gli attraversava il volto da parte a parte, deturpandogli il naso e torcendo il labbro superiore in un ghigno innaturale. 
«Viene in segreto», continuò re Conall, «e per sua salvaguardia preferisce non rivelare il suo nome. È stato inviato da Neiton map Guipno, cugino di Tutgual Tutclyd, re di Alt Clut».
Un sonoro mormorio di disapprovazione e stupore si alzò dai convitati. Presentare a un'assemblea ristretta dei capiclan di Dál Riata un inviato di un regno confinante nemico era una decisione senza precedenti, almeno a memoria dei presenti. Avrebbe forse potuto addirittura ritorcersi contro Conall stesso. Áedán rimase attento ad ascoltare cosa il re stava per aggiungere.
«Da un po' di tempo», affermò Conall in tono imperioso, mettendo a tacere i mugugni, «sono in contatto con Neiton attraverso i suoi emissari. Come forse solo qualcuno di voi sa, diversi ad Alt Clut sono scontenti dei loro governanti».
«E questo cosa ha a che vedere con noi?», intervenne bruscamente uno dei capiclan.
«Ha tutto a che vedere con noi», rispose con fredda determinazione Conall, «perché hanno segretamente richiesto un nostro intervento. Questo emissario è stato incaricato di comunicarci un messaggio in codice. Prego, puoi parlare ora».
L'emissario, aprendo la bocca deturpata dalla cicatrice, parlò con una voce arida come la sabbia e ovviamente con un forte accento brittonico: «Confermiamo cosa è stato deciso. Il momento è propizio. Nella notte di luna piena di mithem il portale sarà aperto. L'aquila ascenderà, il lupo cadrà».
Un coro di voci si levò dall'assemblea, di protesta e di scherno nei confronti delle parole criptiche del misterioso emissario.

Re Conall sollevò la mano per imporre il silenzio nella sala, un gesto autoritario che immediatamente placò i mormorii dei presenti, e poi fece cenno all'emissario di continuare.
Questi riprese a parlare con calma, come se nulla fosse accaduto: «Ciò che ho appena pronunciato mi è stato trasmesso come messaggio, parola per parola, dal principe Neiton, con l'approvazione di diversi uomini d'alto rango di Alt Clut». L'emissario, incoraggiato dal silenzio che ora regnava nella sala, proseguì: «Il padre del principe Neiton, il compianto re Guipno figlio del grande Dumnagual Hen, un tempo regnò su Alt Clut con saggezza. Ma sotto l'attuale regno di Tutgual Tutclyd e del suo clan, Alt Clut sta andando in rovina e sta perdendo le sue antiche tradizioni e sicurezze. È la disperazione data dalla situazione che ci ha spinto ad agire. Nel messaggio che vi ho trasmesso, l'aquila rappresenta la nostra causa, il lupo è il clan di Tutgual».
Un mormorio di impazienza e fastidio ricominciò a levarsi tra i presenti, ma l'emissario alzò la voce: «Nessuno del clan di Tutgual deve sopravvivere». Immediatamente il silenzio calò nella sala: nessuno si aspettava un'affermazione così drastica così all'improvviso!
«Nella notte di luna piena di mithem», proseguì l'emissario, «alcune guardie fedeli alla nostra causa apriranno il portale d'entrata di Alt Clut. Diversi soldati nel corpo di guardia della Rocca sono segretamente dalla nostra parte, ma potrebbe non bastare, per questo ci serve anche un aiuto militare esterno. Il sentiero di ascesa alla sommità della Rocca è molto ripido, ma alla luce della luna piena può essere scalato a piedi senza la luce delle torce, permettendo ai soldati di raggiungere i quartieri reali di sorpresa».

«Non capisco, re Conall», intervenne lo stesso Colmán Bec mac Diarmato, una delle voci più autorevoli nella sala: «In quali termini dovrebbe concretizzarsi un nostro intervento? Con un aiuto militare? E per quale motivo? Non vedo alcun interesse per noi nel buttarci in questa faida tra britanni».
Accanto ad Áedán, suo fratello Eoganán fece un passo avanti e approfittò della critica di Colmán Bec per intervenire a sua volta, con uno sguardo teso: «Concordo con Colman Bec, e inoltre, chi può assicurarci che questa richiesta di intervento non sia un'esca per attirare i nostri soldati in una trappola? Dopotutto stiamo parlando di un regno a noi avverso, non nostro alleato».

Conall, dall'alto dello sgabello su cui troneggiava in mezzo alla sala, dispensò all'assemblea un sorriso di sicumera: «Miei cari toísig, le vostre perplessità sono più che legittime, ma pensate che avrei mai potuto considerare un simile proposito senza porre al centro di ogni decisione l'interesse della Dál Riata? È da anni che i nostri informatori mi aggiornano sulla situazione interna di Alt Clut, e da parecchi mesi le loro notizie coincidono con ciò che ci ha riferito questo messaggero. Ho avuto tutto il tempo per soppesare pro e contro e valutare i piani di azione». Mentre parlava, accarezzava lentamente il torque d'oro che portava al collo, segno tangibile della dignità regale, come se con quel gesto cercasse di autoaffermare la propria autorità. Poi si rivolse all'emissario britanno, con un tono di scherno: «Spero che tu non me ne abbia a male, ma sapevo della vostra situazione ancor prima che Neiton cercasse un contatto con me».
«Come voi avete le vostre spie», rispose con voce glaciale l'emissario, «così noi abbiamo le nostre, che ci riferiscono ogni cosa che accade nel vostro regno».
A quelle parole, un'ondata di indignazione scorse tra i capiclan riuniti. Era estremamente sconsiderato, specialmente per un messo inviato da un regno avverso, esporsi con un'esternazione simile. Avrebbe potuto rischiare di essere arrestato e torturato.
Ma Conall scelse di ignorare la provocazione. «Basta con i preamboli, andiamo al dunque!», disse alzando la voce in tono sbrigativo: «Neiton e i suoi mi hanno assicurato per iscritto — conservo il loro messaggio al sicuro — che, in cambio del nostro aiuto nel deporre la dinastia di Tutgual, alla Dál Riata andrà il controllo militare delle zone strategiche non soltanto lungo i confini di Alt Clut, ma fin quasi ai bordi del Gododdin!».
A queste parole, gli otto figli di Conall eruppero in urla di esultanza, che strascinarono l'entusiasmo di altri capiclan. Ma molti dei presenti, parve ad Áedán, rimasero scettici. Alcuni si guardavano l'un l'altro con sguardi perplessi. Per l'approvazione di un piano così rischioso Conall aveva bisogno di una grande maggioranza di consensi, e sembrava non l'avesse.

Il re alzò nuovamente la mano per riportare il silenzio: «Ho pensato», continuò, «a un leader che sarebbe perfetto per quest'azione, Áedán mac Gabráin». Udire il suo nome così a bruciapelo fu per Áedán come se il terreno gli fosse mancato sotto i piedi. Ecco il motivo per cui era stato convocato!
Poi, nonostante fosse a una certa distanza, Áedán si sentì gli occhi di Conall puntati addosso, mentre questi gli rivolse direttamente la parola: «Áedán, la tua esperienza in altre incursioni, ma soprattutto la questione della tua eredità materna, ti rendono la persona giusta per questa operazione. A te spettano alcuni territori in Manau e in Gododdin, un tempo appartenuti a tua madre buonanima, giusto? Territori che da anni sono stati abbandonati ai Britanni... Chi meglio di te ha il diritto di richiedere la legittimazione della tua eredità, attraverso la tua presenza in quelle terre?».
Diversi capiclan annuirono alle parole di Conall, e tutti si voltarono a guardare l'interpellato, in attesa di una sua risposta.

Áedán si fece coraggio: «Sire, sono riconoscente per questa responsabilità, ma anche turbato da alcuni fattori determinanti». Schiarì meglio la voce per farsi udire da tutti: «Come sapete, mia moglie è figlia di re Tutgual. E inoltre proprio mia madre, che tu hai nominato con benignità, era zia di Tutgual e di Neiton, il che fa di me un cugino di sangue di entrambi. In queste circostanze, come posso io essere accettato a capo di una tale operazione che, secondo quanto riferito dall'emissario britanno, dovrebbe portare a uno sterminio della famiglia di mia moglie?».
«Proprio i tuoi legami di sangue con Neiton ti rendono l'uomo ideale», rispose Conall con sicumera. «I congiurati britanni ti vedono come un loro parente, non come un invasore straniero: ciò faciliterà gli accordi sulla spartizione del territorio e l'alleanza che ne seguirà».
Mai come in quel momento Áedán ebbe la sensazione che Conall non fosse all'altezza del ruolo di leader: non solo aveva ignorato che la moglie dell'uomo da lui incaricato avrebbe visto sterminata la propria famiglia; ma aveva anche lasciato trapelare all'orecchio dell'inviato nemico che quella spedizione non era altro che un'invasione mascherata dietro il velo di un'alleanza di sangue.
Ma gli altri presenti non erano dello stesso parere: molti capiclan esultarono alle parole di Conall, brandendo in aria, a mo' d'incitamento, i corni d'idromele, ormai svuotati dell'inebriante bevanda. La grande sala si riempì del rimbombo di voci che scandivano il suo nome: «Áedán! Áedán!».

In mezzo al fragore, egli rimase immobile: acclamato come fosse un eroe, ma con il cuore raggelato, consapevole che non era la gloria a essere invocata, bensì il tradimento, il tradimento dei sacri legami familiari della sua sposa. Ma quel peso era soltanto il suo, e di nessun altro in quella sala.
Senz'altro, agli orecchi dei capiclan, il piano di Conall appariva inoppugnabile. Eoganán, alla morte del padre Gabrán, aveva assunto il comando del Cenél nGabráin in Dál Riata; Áedán, come fratello minore, aveva ereditato i domini materni in Manau. Così, ai più appariva naturale che fosse proprio lui con i suoi guerrieri a compiere quella spedizione: un principe di Dál Riata cui il destino concedeva l'occasione di reclamare le sue terre ancestrali con la diplomazia e con la spada.
Ma Áedán sapeva bene che l'idea di Conall e dei capi più scaltri era in realtà di usarlo come un ariete contro le porte del nemico. Se la spedizione fosse andata a buon fine, l'influenza della Dál Riata si sarebbe propagata lungo i confini con Alt Clut fino al Gododdin, aprendo nuove rotte di ricchezza e facendo espandere il controllo militare fin laggiù, nonché rafforzando la posizione di Conall come re supremo della Dál Riata. Se invece fosse andata male, sarebbero stati Áedán e i suoi uomini a perire in territorio nemico, lasciando Conall col suo potere intatto e con un potenziale rivale in meno.

Già il piano in sé appariva ad Áedán rischioso: Alt Clut era raggiungibile soltanto dal mare, e risalire il fiume nell'oscurità della notte significava affidarsi alla sorte. Un banco di sabbia invisibile, un'imbarcazione capovolta, e la spedizione sarebbe stata perduta prima ancora di sbarcare. È vero che il piano prevedeva di attaccare durante la luna piena, ma la speranza andava riposta in una notte limpida e senza nubi.
Áedán si voltò verso suo fratello. Eoganán aveva il volto terreo: segno che condivideva la sua stessa inquietudine.

Rifiutare, in quelle condizioni, con la stragrande maggioranza dei capiclan che lo acclamava, non era più possibile. Era praticamente costretto ad accettare.
Ma in quell'istante Áedán si fece una promessa: se la spedizione si fosse conclusa con buon esito, avrebbe guidato egli stesso il proprio destino. Perché in fondo era anch'egli un figlio di re. E se le circostanze gli si fossero fatte propizie, avrebbe seguito i suoi piani: non più ombra né pedina, ma erede del proprio regno.

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