Ci volle un po' prima che Tutgual si riprendesse dall'accesso di tosse. Non aveva mai contato su Riderch per quanto riguarda il potere, sapeva che non ne era portato. Fortunatamente era il suo primogenito, Morcant, ad avere la giusta indole per guidare la sua gente. Ma ciò non autorizzava Riderch a vivere pigramente, non curandosi nemmeno della sua famiglia. Tutgual doveva ricordargli dei suoi doveri. E poi, c'era qualcosa che anche Riderch doveva sapere, riguardava un possibile attacco al loro clan, dopotutto.
“In ogni caso, non volevo parlarti degli Engle”, gli disse non appena ebbe ripreso fiato. Anche se nessuno era vicino a loro, Tutgual abbassò il tono della voce: "C'è una faccenda più seria. Alcuni dei miei cugini starebbero cospirando contro di me. I miei informatori li hanno visti incontrarsi in circostanze sospette. E durante l’ultima riunione del consiglio allargato dei capiclan, quella testa calda di Cynan ha avuto l’impudenza di dire che nostro cugino Neiton sarebbe il giusto guletic se dovesse scoppiare una guerra. Avrei dovuto mettere Cynan agli arresti quando ha parlato così, ma Serwan è intervenuto redarguendolo duramente e Neiton ha detto che l’unico guletic legittimo di Alt Clut sono io, chiudendo il discorso e salvando l’impudente”.
Vide che suo figlio aggrottava la fronte, forse
finalmente era rimasto colpito. Ma quando Riderch aprì la bocca lo fece per
dire: “Scusami padre, guletic indica l’amministratore o il re? Mi sono sempre
chiesto questa cosa”.
Tutgual dovette reprimere un conato di tosse e
sentì il sangue salirgli alla testa. Ma trovò la calma necessaria per
rispondere senza urlare alla provocazione: “Riderch, per quanto a te non
interessi nulla, questa è una cosa seria. Questo episodio mi ha dato
conferma delle informazioni riservate che mi portano i miei informatori,
secondo cui ci sono movimenti e incontri sospetti tra i miei cugini e la loro
cerchia, anche se non sono stati colti in flagranza di cospirazione finora.
Comunque, finché la Guardia Reale mi rimane fedele e la Guardia della città mi
tributa il titolo di ‘Difensore del popolo’, non hanno speranze”. Poi, lasciandosi
andare a un tono più risentito, aggiunse: “E per rispondere alla tua curiosità,
sappi che il termine guletic non esclude l’uno o l’altro: un buon re è un
buon amministratore, come pure un buon capo clan e pure un buon capo guerriero.
Il guletic, per essere rispettato, deve essere tutte queste cose. Per molti
anni, fin da quando tu eri un infante, è ricaduta su di me la responsabilità di
essere tutto questo, ma ormai sono vecchio. La mia ultima consolazione è
che tuo fratello Morcant è all’altezza della situazione”, terminò, tradendo suo
malgrado una certa esasperazione. Non era così che si aspettava di concludere
la discussione con Riderch, ma il suo atteggiamento indisponente non era
cambiato dall’ultima volta che avevano parlato.
Fu in quel momento che Riderch si fece serio e
parlò: “Padre, il motivo principale per cui volevo parlarti era per dirti che
io e Languoreth abbiamo deciso di partire per un viaggio, per qualche tempo”.
Questo era oltre l’immaginabile per Tutgual:
“Che cosa significa?! Dove dovreste andare?!”.
“Padre, ho preso questa decisione da giorni.
Partiremo tra un paio di settimane, ma non staremo via a lungo”.
“Perché mi fai questo? Dimmi qual è il motivo!”.
“Sarà solo per poche settimane al massimo. Io e
Languoreth ne discutevamo da tempo, ho deciso che questo era il momento adatto.
Presto sarò troppo assorbito dai miei doveri verso il regno e non potrò più
concedermi un viaggio privato”.
“Riderch, tu possiedi doti che pochi uomini
hanno: sei giovane, forte, ricco, intelligente, sei addestrato per batterti in
battaglia, potresti avere un potere immenso se solo lo afferrassi. Invece
decidi di fuggire. Certe opportunità non si presentano due volte”.
“Ti prometto che non ho intenzione di sprecare
ciò che sono e ciò che tu e mia madre mi avete dato. Proprio per questo ho
deciso di prendere un ultimo periodo di libertà, per poi tornare pronto a tutte
le mie responsabilità”.
Tutgual sospirò impercettibilmente. Avrebbe
potuto indagare le ragioni per cui suo figlio aveva preso una così strana decisione.
Avrebbe potuto semplicemente negare il proprio consenso, e Riderch sarebbe
stato costretto a obbedire. Ma, ragionando velocemente per qualche momento,
giunse alla conclusione che non ne sarebbe scaturito nulla di buono. “Vai
allora, vai”, disse alla fine. “Ma porterai con te qualcosa”, e così dicendo si
alzò dallo scranno, seguito da Riderch, e lo accompagnò nella propria stanza.
La stanza da letto del re era confortevole, ma
sobria. Spessi teli appesi alle pareti proteggevano dal freddo del nord:
nonostante la primavera fosse arrivata, Tutgual soffriva ancora il freddo,
senza dubbio a causa della malattia. L’arredamento era scarno, come piaceva a
lui: una scrivania di quercia con gli oggetti personali del sovrano; sopra di
essa un piccolo specchio appoggiato alla parete, un tempo usato da sua moglie;
poco più in là un letto in legno massiccio, che da quando Elufed non c’era più
era diventato troppo grande.
Accanto al letto giaceva un grosso scrigno,
delle dimensioni di un forziere basso e allungato. Tutgual estrasse una chiave
dalla propria cinta, si chinò e lo aprì. Estrasse un fodero di metallo,
riccamente decorato, dalla cui estremità spuntava l’elsa di una spada, una
bianca elsa in avorio, e senza dire una parola lo porse al figlio.
Riderch rimase a bocca aperta: “Padre, questa è
Dyrnwyn, la Bianca Elsa”. Suo figlio lo guardò con uno sguardo interrogativo.
“Prendila”, rispose Tutgual.
“No padre, la Bianca Elsa deve rimanere qui, è
il legato più prezioso della nostra famiglia da generazioni, non è così?
Dovresti lasciarla a Morcant, piuttosto”.
“Se deciderai davvero di partire la porterai con
te come pegno, impegnandoti a riportarla indietro quando tornerai, cioè quanto
prima”.
Riderch, con gli occhi che gli brillavano, prese
in mano il fodero, studiandone le ornamentazioni, poi estrasse la spada.
“Dyrnwyn non è solo una spada di splendida
fattura, ma anche di una potenza eccezionale”, proseguì Tutgual. “Mio padre e
mio nonno la chiamavano Caledfwlch, che nel loro dialetto, che voi giovani
state dimenticando, significa ‘taglio potente’. Mio padre mi disse che non
esiste al mondo una spada dal taglio migliore di questa”.
Riderch alzò la testa, e per la prima volta
Tutgual vide nel suo sguardo riconoscenza: “Padre”, disse Riderch con rispetto
quasi solenne, “questa è una grande responsabilità di cui ti sono grato. La
riporterò qui intatta”.
Tutgual fece una smorfia sarcastica: “Non è
necessario che la mantieni intatta, potrai pure sguainarla se ti dovrà capitare
di usarla. Ti servirà una scorta, comunque”.
“Ho già pensato di portare con me l’Orso e i
suoi uomini, oltre al mio scudiero. Sono perfino troppi, basterà la loro
semplice presenza per tenere alla larga eventuali banditi. Io volevo andare con
meno gente al seguito, ma l’Orso ha insistito, non vuole lasciare qui nemmeno
uno dei suoi sgherri! E io che pensavo che sarebbe stato un viaggio in
intimità...”.
Questo era buono: Caimyr, detto l’Orso, era la
guardia del corpo più fidata di Riderch e si occupava della sicurezza del
secondogenito del regno fin da quando era ragazzo. L’Orso aveva alle sue
dipendenze una decina di soldati, guardie selezionate e addestrate da lui
personalmente, che si impegnavano a rispondere ai suoi ordini anche a costo
della vita.
“Così sia”, sentenziò Tutgual. “Dove hai intenzione
di andare? E per quanto tempo?”.
“Non ho una meta fissata, credo verso sud. Forse
potrei fare una visita a Urbgen. Però ti chiederei una cosa, padre”.
“Dimmi”.
“Non ho detto a nessuno che starò via. Ti
pregherei di non dirlo a nessuno, nemmeno ai miei fratelli, almeno per un po’.
Vorrei veramente essere lasciato tranquillo con la mia famiglia finché non ci
sarò”.
“Perché dovrei dirlo in giro? Non è affare degli
altri. Se passerai a Cair Ligualid porterai i miei saluti a Urbgen. Ma
ricordati figlio, la tua vita è qui”.
“Questo lo so. Quando ritornerò tutto sarà
diverso”.
Dopodiché padre e figlio uscirono dalla stanza. Tutgual sentì un senso di pacificazione col figlio, per la prima volta dopo lungo tempo.